La teoria delle catastrofi è stata portatrice di idee accettate talvolta con difficolta nell'ambiente scientifico tradizionale. Questo è un problema di sociologia della scienza che è stafo affrontato sotto il profilo generate soprattutto da Thomas Kuhn ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche,1 che ha mostrato, in particolare, quanto Ie nuove idee trovino difficoltà a penetrare nell'educazione'. Cosa ne pensa?
R.Thom - Apprezzo molto il libro di Kuhn. L'idea di paradigma è un'idea molto giusta.2 Un paradigma vive a lungo e sopravvive di molto alla sua efficacia, soprattutto per ragioni sociologiche. Da questo punto di vista, quindi, Ie idee kuhniane possono benissimo rientrare in uno schema di tipo catastrofista. Forse l'accostamento è un po' audace, ma penso che i meccanismi di fondo siano abbastanza vicini. L'inerzia di un paradigma è dovuta alla miopia degli scienziati che lavorano al suo interno, dedicandosi alla «soluzione di rompicapo», come dice Kuhn.3 E’ chiaro che quando ci si occupa della soluzione di un rompicapo, non ci si accorge di quello che può accadere al di fuori del rompicapo da risolvere: proprio per questo, un paradigma può essere, da tempo, minacciato dall'esterno, senza che i ricercatori che lavorano al suo interno ne siano coscienti. Sono dunque in una situazione metastabile, prima ancora di accorgersene. Una situazione del tutto analoga a quello che avviene, in campo politico, nei periodi prerivoluzionari. Spesso i regimi si trovano in difficoltà, perché i dirigenti non hanno una chiara coscienza dei pericoli che li minacciano. Vivono in un universo chiuso, separato dalla realtà e la rivoluzione si scatena a condizione che un gruppo o un capo più o meno carismatico assuma la direzione della rivolta. Se il fermento delle idee riesce ad essere sintetizzato da un «capo», allora si elabora una controdottrina, un controparadigma, che si contrappone al paradigma esistente. Spesso in una situazione prerivoluzionaria, Ie idee sono all'inizio un po’ utopistiche, quasi millenaristiche: sollevano gli spiriti, anche senza avere una portata effettiva. Basta tuttavia che queste idee si cristallizzino in un inizio di organizzazione, perché diventino in breve tempo una grande forza di attrazione, attorno alla quale si organizza l'opposizione che condurrà poi alla rivolta. Inoltre, una rivoluzione si realizza quando gli stessi dirigenti smettono di essere convinti della validità del vecchio paradigma. L'analisi storica di alcune situazioni rivoluzionarie mostra che in molti casi, se il governo avesse utilizzato Ia forza militare al momento opportuno, avrebbe potuto schiacciare la rivoluzione sul nascere. Ma probabilmente accade che i capi stessi siano vinti dal dubbio e non sappiano usare la forza con determinazione sufficiente: e allora sono perduti. Forse, nell'evoluzione delle scienze, avviene la stessa cosa: a un dato momento i sostenitori di un vecchio paradigma sono vinti dal dubbio e in quel momento la via e aperta per un nuovo paradigma... Rivoluzioni politiche e rivoluzioni scientifiche; qualcosa di più che qualche somiglianza di superficie. In entrambe, come del resto anche Kuhn ha enfatizzato, una situazione di « crisi» nella comunità politica e in quella scientifica pare I'elemento di base. Il termine «crisi» non fa anch'esso riferimento, come « catastrofe », a un cambiamento di regime qualitativo? R.Thom - C'e in primo luogo una radicale differenza. Una «catastrofe» (nel senso più ampio del termine) e un fenomeno ben visibile, una discontinuità osservabile... La crisi invece può essere latente, sorniona. Molto spesso, si manifesta solo attraverso una perturbazione quantitativa (e non qualitativa) di un processo di regolazione: pensiamo,per esempio, a una crisi in economia legata all'inflazione... Del resto, anche Ie «crisi» nella comunità scientifica, Ie crisi dei paradigmi kuhniani, possono essere «invisibili»... R.Thom - Sì, anche qui come altrove c'e tra crisi e catastrofe un netto legame. La crisi spesso annuncia la catastrofe che dalla crisi è preceduta e talora anche provocata. Sono situazioni familiari già alla fisica e alla chimica, pensiamo al fenomeno dei cambiamenti di stato. Le situazioni caratterizzate da una morfologia locale fluttuante si presentano però anche nella società, proprio quando si preparano i grandi cambiamenti... C'e però bisogno di una ulteriore qualificazione. Una definizione formale di «crisi» non va cercata necessariamente a livello morfologico; né si può sbrigativamente ridurre la « crisi » a semplice precorrimento di una catastrofe. La « crisi» va invece definita a un altro livello, quello della soggettività. I sistemi meccanici, fisici, ecc. conoscono dei «punti critici», non delle autentiche «crisi». Le crisi hanno un carattere eminentemente soggettivo. E’ in crisi, insomma, ogni « soggetto » il cui stato, che si manifesta con un indebolimento – apparentemente senza causa - dei suoi meccanismi di regolazione, viene percepito dal soggetto stesso come una minaccia alla sua esistenza... Vediamone qualche esempio... R.Thom - Basta guardare alle crisi economiche: che resterebbe di tali crisi se si potessero eliminare gli effetti psicologici delle «situazioni di crisi» sugli agenti economici? Ma se per questa componente soggettiva la nozione di crisi esce dal quadro concettuale della dinamica, ciò non vuol dire che concerna esclusivamente il settore della psicologia umana. Secondo me, il contesto opportuno è quello della biologia.Si può, infatti, parlare di organismo animale in crisi, tenendo conto della rudimentale soggettivita che agli animali possiamo riconoscere... L’ego negli animali non sussiste in modo permanente, si riforma, per così dire, de novo, ogni volta che lascia gioco a un grande riflesso regolatore che coinvolge un qualche «oggetto» esterno: pensiamo, per esempio, al meccanismo predatore/preda. Si tratta di situazioni ambigue, in cui al soggetto o viene sottratto un oggetto che «normalmente» gli è abituale o viene offerta una pluralità di oggetti tra cui scegliere. Un caso del primo tipo è la cosiddetta «deprivazione sensoriale», che può condurre il soggetto umano alla angoscia e alla allucinazione. Un caso paradigmatico del secondo tipo è il celebre asino di Buridano...4 Un altro esempio possibile: l'uccello affascinato dal serpente. In questo caso si potrebbe pensare che la forma del serpente evoca nell'uccello la forma archetipa del verme, dunque della sua preda. Ma la taglia del serpente ne fa il predatore e di qui, la paralisi del «giudizio» dell'uccello... Ma quando aver individuato Ie cause della crisi permette di risolverla? R.Thom - In tutti i casi che ho citato, la crisi interviene nel soggetto a causa di una mancanza o ambiguità del suo oggetto «normale» (non ce n'e, ce ne sono troppi, ecc.) dovuta alla presenza di una situazione conflittuale nell'ambiente. > |
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Risolvere la crisi significa allora scegliere un opportuno oggetto, in cui il soggetto ritrova il proprio oggetto «abituale» e su cui il soggetto può agire (per esempio mediante cattura): questo meccanismo di estinzione delle crisi - che riporta il soggetto in una sorta di « credo »5 rassicurante - è talmente efficace che talora il soggetto, incapace di cogliere la vera causa del proprio male, si forgia un falso oggetto su cui agire, col risultato di eliminare (solo) gli aspetti psicologici della crisi in questione.
In biologia e anche in sociologia tali «pseudo-soluzioni» sono numerosissime. Pensiamo sermplicemente ai capri espiatori cui ricorre troppo spesso la comunità sociale in crisi (il caso delle persecuzioni e delle guerre promosse dal regime nazista e tipico). Ora, Ie pseudosoluzioni hanno spesso una efficacia locale innegabile ma l'insistere in tali pseudosoluzioni al di la di un certo limite non tarda a generare una situazione analoga a quelle delle crisi dovute a hybris: un meccanismo mostratosi fino a un certo punto vantaggioso si rivela disastroso oltre una certa soglia... Tuttavia, in non poche situazioni, le crisi hanno un carattere benefico... R.Thom - Una crisi in un essere vivente va comunque sempre riportata a un difetto dei suoi meccanismi di regolazione. L'analisi della costituzione della figura di regolazione di un animale mostra che questi difetti sono inevitabili, in quanto legati a vincoli di natura topologica (o morfologica). Così, un animale non può permanentemente sorvegliare la totalità dell'ambiente circostante col suo apparato sensoriale - la sua pelle, poniamo, non può essere tutta ricoperta di occhi! Ci sono necessariamente delle lacune, delle imperfezioni nella simulazione del mondo esterno fatta nel cervello: se un nemico utilizza a proprio vantaggio questa lacuna, ecco che la crisi si scatena. Infine, lo stesso sviluppo «normale» comporta delle tappe «indeterminate» che generano delle crisi, che di norma sono superate... Dunque la crisi è inevitabile e, in genere, benefica: può infatti far prendere coscienza al soggetto dei propri limiti e spingerlo a una «ritirata strategica» che gli permette di prendere tempo e di riadattarsi meglio al proprio «ambiente». La metafora biologica si ritrova estremamente utile, dunque, anche nello studio della comunità sociale, delle stesse comunità scientifiche. Naturalmente la scelta da parte del «sistema» (o del «soggetto») di una pseudo-soluzione può sviluppare delle «tendenze aberranti»... La tensione stessa tra « stato normale » e « stato di crisi», esaminata in modo «fine», rivela una notevole compresenza di «crisi» e «normalità»: essa ci rimanda così al modello di sviluppo delineato da Kuhn: la scienza «progredisce» attraverso Ie sue stesse “crisi”. R.Thom - Come ho già detto, il modello kuhniano della dinamica dell'impresa scientifica mi pare convincente da più di un punto di vista. Se l'asino di Buridano non vuol perire, sceglie alfine tra fieno e biada: così si verifica nella comunità scientifica nei grandi periodi di «crisi” in senso kuhniano, quando si tratta di optare tra due paradigmi rivali. Ma anche il modello kuhniano qui incontra qualche difficoltà. Resta aperto il problema di sapere se l'evoluzione storica delle scienze debba dipendere da conflitti puramente sociologici, lasciando in un certo senso da parte il problema del confronto con l'esperienza. In altri termini: qual è il ruolo del confronto con l'esigenza teorica di intelligibilità da un lato e con l'esperienza e il successo pratico dall'altro, nel successo relativo di due teorie in competizione? Si è tentati di pensare che il ruolo di questi due fattori - esigenze teoriche e successo pratico - sia in realtà abbastanza importante. Evidentemente, può succedere che lo stesso campo sperimentale possa essere spiegato da due teorie in competizione in modo, diciamo, abbastanza «complementare»: una teoria spiega bene una parte del campo e male un'altra, mentre una seconda teoria spiega male la prima parte e bene la seconda. In questo caso sarebbe legittimo esitare tra Ie due teorie e il successo di una di esse sarebbe probabilmente dovuto a fattori di natura storica o sociologica. Ma in situazioni in cui una teoria è migliore di un'altra dal punto di vista dell'economia intellettuale, del rigore, dell'intelligibilità e dell'efficacia pratica, non c'e dubbio che questa teoria finirà per avere la meglio. Forse è proprio per questo che non ho mai spinto troppo avanti la teoria delle catastrofi: perché sono convinto che essa ha valore sufficiente in se stessa per avere successo, anche in mancanza di forze sociologiche che la impongano. La miglior prova è che, per esempio, su Mathematical and biological papers sono pubblicati articoli di ricercatori che modellizzano Ie più svariate situazioni, parlando della cuspide come di qualcosa di cui si conoscono benissimo Ie proprietà, senza rifarsi necessariamente alla teoria delle catastrofi. Questo prova che la teoria ha fatto presa sui ricercatori...[...] Da Parabole e catastrofi, ed. Il Saggiatore, Milano 1980. Intervista di Giulio Girello e Simona Morini . |
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1 - Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (19621; 19692). Tr. It. Einaudi, Torino 1978.
2 - « Prima che questi testi [gli usuali manuali scientifici sia elementari che superiori] diventassero popolari all'inizio del secolo XIX (e fino ad un periodo ancor più recente, per quanto concerne Ie scienze che solo da poco hanno raggiunto uno stadio maturo) molti famosi classici della scienza assolvevano tale funzione. [Molte opere del genere] servirono per un certo periodo di tempo a definire implicitamente i problemi ed i metodi legittimi in un determinato campo di ricerca per numerose generazioni di scienziati. Essi furono in grado di fare ciò poiché possedevano in comune due caratteristiche: i risultati che presentavano erano sufficientemente nuovi per attrarre uno stabile gruppo di seguaci, distogliendoli da forme di attività scientifica contrastanti con essi; e, nello stesso tempo, erano sufficientemente aperti da lasciare al gruppo di scienziati costituitosi su queste nuove basi la possibilità di risolvere problemi di ogni genere. D'ora in avanti, per indicare i risultati che hanno in comune queste due caratteristiche, userò il termine "paradigma", che ha una precisa relazione col termine "scienza normale". Con la scelta di questo termine ho voluto far presente il fatto che alcuni esempi di effettiva prassi scientifica riconosciuti come validi - esempi che comprendono globalmente leggi, teorie, applicazioni e strumenti - forniscono modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza » (T.S. Kuhn, La struttura, cit., pp. 29-30). Per una analisi approfondita della nozione kuhniana di paradigma si veda per esempio M. Masterman, «La natura di un paradigma» (1970) in I. Lakatos, A. Musgrave (a cura di) Critica e crescita della conoscenza, tr. it. Feltrinelli, Milano 1976, pp. 129-163.
3 - T. S. Kuhn, La struttura, cit. in particolare cap. IV. « I rompicapo sono […] quella speciale categoria di problemi che possono servire a mettere a prova la ingegnosità o l'abilita nel risolverli. [...] Mentre il valore intrinseco non è un criterio per definire un rompicapo, lo è invece la certezza che esista una soluzione. [...] Per essere classificato un rompicapo, un problema deve essere caratterizzato da qualcosa di più di una soluzione certa. Vi devono essere anche regole che delimitano la natura delle soluzioni accettabili come anche i passaggi attraverso i quali si devono ottenere tali soluzioni » (pp. 58-60).
4 - Giovanni Buridano di Bethune, scolaro di Occam, celebre professore dello studio di Parigi, di cui fu rettore nel 1328, morto dopo il 1350, fu autore di una Summa de dialectics, di un Compendium logicae e di commenti a non poche opere aristoteliche. II problema che gli diede maggior rinomanza fu quello della libertà, cui diede una soluzione prettamente deterministica, che tuttavia ammetteva una sorta di libertà in quanto la forza dei motivi dipende anche dalla ragione. Questo può anche decidersi tra motivi esterni in sé equivalenti, a differenza dell'asino, che tra due mucchi di fieno di eguale quantità e qualità, o tra la biada e l'acqua di pari attrattiva, si lascerebbe morire piuttosto di scegliere. Di questo paragone pero non c'è traccia nei suoi scritti; se non venne escogitato dai suoi contemporanei per screditarne la dottrina, si può congetturare che Buridano se ne sia servito nell'insegnamento orale. > |
5 - " E’ noto che « se un embrione è stato danneggiato a uno dei primi stadi del suo sviluppo, accade spesso che da esso si sviluppi poi un embrione normale ... Tuttavia, dopo aver subito il danno, esso non ritorna al punto in cui si trovava all'atto dell'alterazione per poi ripartirne; esso ritorni invece gradualmente sulla sua strada, sicché il danno non viene riparato finché l'embrione non ha raggiunto uno stadio posteriore a quello in cui si è verificato il danno. [...] Si dice anche, per descrivere questi sistemi, che il cammino della trasformazione è canalizzato: per il percorso in sé si può usare il termine creodo, parola di derivazione greca che significa percorso obbligato. Molti tipi di trasformazione che si verificano nella società possiedono un carattere creodico più o meno sviluppato; una volta imboccata una certa direzione, è ben difficile riuscire a indurre un mutamento di rotta. [... Inoltre] nei sistemi biologici progressivi, come gli embrioni in via di sviluppo o le piante, si ha normalmente a che fare con sistemi non descrivibili interamente in termini di un solo creodo, né di un insieme di creodi grosso modo paralleli... Nello sviluppo di un uovo, Ie sue parti seguiranno diverse vie di sviluppo e alla fine andranno a formare parti diverse dell'animale compiuto; alcune diventeranno muscoli, altre nervi, e così via. Se ne può offrire un'immagine intuitiva in termini di paesaggio epigenetico, dove al momento in cui il processo ha inizio esiste una sola valle, ma nel seguito essa si dirama in due o più valli; a loro volta queste diramazioni si dividono continuamente, sino a formare un numero di valli separate corrispondenti alle parti separate dell'animale adulto». (C.H. Waddington, Strumenti per pensare, tr. it., Mondadori, Milano 1977, pp. 108 e 111-112).
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